Un futuro senza volto

Premessa sulla mascherina nell’antichità

Prima di affrontare il tema della mascherina nell’epoca Covid credo sia necessario parlare del concetto di “maschera”  che fin dall’antichità veniva utilizzata durante riti, cerimonie sacre e altre celebrazioni importanti. La figura eletta, un sacerdote o uomo di culto, veniva visto dai partecipanti come la personalità che la maschera rappresentava e non come l’attore che la interpretava. Infatti, non potendo riconoscere il volto di chi la indossava, quest’ultimo veniva trasformato agli occhi degli altri in un altro essere e in questo  stava la sua magia. Questo concetto si è completamente ribaltato con il Covid se ci pensiamo, perché i riti sono stati declinati, quindi qui si tratta di un ulteriore significato che viene dato alla maschera, che si colloca in un “teatro” senza palco. 

Nell’epoca moderna l’incontro importante fu’ tra due artisti del 900 fece in modo che la maschera tornò ad essere utilizzata nel teatro moderno. Nel 1945 Jacques Lecoq, attore teatrale e mimo francese, incontra Amleto Sartori, scultore e poeta italiano e qui, nacque una nuova idea per recuperare e utilizzare questo antico strumento di comunicazione. Lecoq disse che la maschera doveva cancellare, anzi neutralizzare l’espressione del volto dell’attore. Così Sartori riassunse nella maschera neutra la filosofia dell’attore francese. Quindi qui si parla del concetto di maschera che già nell’epoca moderna diventa un modo per “cancellare” l’espressione del volto dell’attore e quindi del suo interprete.

La maschera secondo Jung

Interessante parlando della maschera, sono gli studi di uno dei piu’ importanti psicoanalisti Carl GustavJung, il quale pone accanto al concetto della “maschera” il concetto di ci “Persona”, che per Jung corrisponde al nostro aspetto esteriore, il quale viene inserito in un ruolo che regola le nostre relazioni più superficiali e sociali.  Jung prende in prestito il termine dal latino Persōna Persōnam, ovvero la maschera che gli attori indossavano durante le rappresentazioni teatrali. La Persona era solo un riflesso dell’ immagine del personaggio interpretato dall’attore, ne riprendeva i lineamenti, lo caratterizzava, lo inseriva, in un ruolo.

Per Jung la persona, è il volto sociale che l’uomo presenta al mondo che da un lato serve per dare una precisa impressione sugli altri, mentre dall’altro nasconde la vera natura dell’individuo, rappresenta, quindi, la funzione dell’Io che si trova tra l’esperienza di un individuo e la società, e come tale ci permette di interagire con il mondo; lo sviluppo di una persona sociale flessibile è solo una parte vitale dell’adattamento e della preparazione alla vita adulta nel mondo sociale esterno. Tuttavia, l’ego non è che una piccola parte del più ampio . Di conseguenza, la persona ci costringe a interagire con il mondo in maniera parziale, lasciando vari aspetti del  non riconosciuti.

A livello psicologico la maschera per Jung rappresenta un filtro che l’uomo pone tra Sé e gli altri  e che caratterizza ogni momento di relazione e interazione sociale nella nostra vita.  Tale circostanza, ci aiuta in situazioni sociali specifiche, come quelle lavorative, occorre ricoprire e interpretare un ruolo specifico, che prevede tutta una serie di atteggiamenti e comportamenti. Ma il problema si manifesta quando non siamo presenti a noi stessi, e c’è mancanza di consapevolezza nei confronti dell’esistenza della maschera che indossiamo. Quando non siamo in contatto con il nostro vero Sé, con le nostre aspirazioni ed emozioni, tendiamo a costruire inconsapevolmente delle maschere che rappresentano solo il nostro sé ideale, cioè “ciò che non siamo”, ma che portiamo avanti in modo rigido, acritico e sistematico, senza averne alcuna coscienza. Ci identifichiamo con la maschera, senza possibilità di vedere altro di noi.

In tal senso anche l’utilizzo della mascherina stà creando, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, questo effetto di copertura, nascondendo il proprio volto, che alle volte puo’ non piacere, tutto cio’ non aiuta allo sviluppo della propria personalità, sviluppando ansia, panico, fobie, reprimendo il proprio Io mettendo in  atto meccanismi di difesa per evitare gli altri, le relazioni intime e il conflitto. 

Nel percorso di individuazione concetto base per Jung, un soggetto comprende quali siano i suoi limiti, limitando il panico, perchè entra in contatto con se stesso togliendo persecutorietà alla vita e alle sue maschere. In sintesi, indossando la mascherina già da due anni, questo rischio di portarci ad allontanarci sempre di piu’ dalla nostra autenticità e soprattutto per i bambini e i giovani questo è un rischio perchè crescono senza sapere “chi sono” e sorpattutto “chi non sono”. 

La maschera/persona e i nuovi media

L’avvento dei “nuovi media” ha modificato il rapporto con la realtà delle generazioni che sono entrate o stanno entrando nel “mondo degli adulti” del nuovo millennio, variamente definite come millennialsnativi digitalinet generationgenerazione Ythumb generation o iGeneration, al punto forse da determinare una vera e propria mutazione socio-antropologica rispetto al passato.

La forza dei media è dirompente perchè i giovani sono pervasi della cosiddetta “cultura digitale”, abituati a ricevere informazioni “alla massima velocità” e a gestire più processi in parallelo. Ciò avviene in un contesto di continuo cambiamento (un contesto “liquido”, direbbe Bauman), caratterizzato per un verso dalla convergenza tra piattaforme tecnologiche diverse che creano un ambiente comunicativo integrato, senza soluzioni di continuità tra “online” e “offline”, e per un altro verso dalla diffusione di culture partecipative, caratterizzate dal crescente protagonismo degli utenti e dalla possibilità di nuove forme di espressività giovanile. Nella rete pero’ è già presente un sostituto delle relazioni un surrogato “virtuale” della realtà, quindi già le nuove tecnologie e questi nuovi strumenti hanno creato le basi di adesione alla maschera, alla rappresentazione di se’, invece che la verità di se’. Il cambiamento socio-antropologico influenza l’Io, in senso freudiano, nella funzione-ruolo enfatizzando l’importanza della “persona” “maschera” creando approcci superficiali e social qui, agiscono una grande influenza sull’ego che tende a mantenere schemi famigliari, cercando un riconoscimento condizionato da desideri, aspettative e competizioni, a discapito del se’ (personalità secondo Jung) che invece lavora nel cercare un consenso autentico, pieno e onesto. I social creano una falsa personalità, basata sull’approvazione dell’altro come definisce Donald Winnicott altro psicoanalista importante e questo crea fenomeni come il bullismo e la divisione di classi, categorie umane. Infine, i social (Facebook e Twitter Instagram) puntano sul concetto di persona collegata all’ego  indossando le nostre maschere sociali.

Il cambiamento del linguaggio del corpo nella società

L’epidemia da COVID-19 sta rappresentando una delle peggiori pandemie della storia contemporanea. Per rallentare la diffusione di questo virus  l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha raccomandato l’utilizzo di mascherine per coprire una parte del volto delle persone negli spazi pubblici e all’aperto. Tale raccomandazione ha fatto crescere preoccupazioni circa l’effetto che l’uso delle mascherine può avere sulle comunicazione emotiva e sulle possibili influenze negative sul piano sociale. La prima cosa che viene in mente è l’azzeramento della comunicazione non-verbale e cio’ stà emergendo in parecchi studi e ricerche

L’utilizzo delle mascherine influisce sull’espressione e l’interazione umana, in un periodo in cui ci guardiamo a vicenda con inquietudine, in cerca di segnali di solidarietà, ottimismo e persino di pericolo. Sono rimasti solo gli occhi, ed iniziamo a sentirci  piu’ a nostro agio adesso con una parte del volto coperta, ci sentiamo piu’ protetti dai giudizi degli altri rispetto al nostro fisico, riusciamo a mascherare di piu’ le nostre emozioni e ci sentiamo piu’ difesi. Facciamo fatica a riconoscere le emozioni dell’altro, la sua identità, quindi si puo’ affermare che l’utilizzo della mascherina rende tutti uguali, omologati nell’espressione, come se non avessimo piu’ una nostra autenticità e unicità. Riconoscere le emozioni è importante per la nostra evoluzione, ma potremmo anche subire un cambiamento ed abituarci ad una società senzo volto, senza identità e unicità, abituandoci a cogliere altri segnali socio-emotivi attraverso il linguaggio del corpo. 

Sulla rivista Scientific Reports in collaborazione con l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione e l’Istituto Di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche e l’Università di Torino, in particolare, sono stati di recente pubblicati i risultati di un esperimento concepito e svolto interamente online durante la primavera del 2020 coinvolgendo 122 soggetti che dovevano giudicare lo stato emotivo e il grado di affidabilità espresso da alcune fotografie di volti.Mentre 41 soggetti hanno visto dei volti scoperti, ad altri 40 venivano presentati dei volti mascherati. I risultati prodotti sono stati che i soggetti che vedono i volti mascherati compiono molti più errori nel riconoscere le emozioni che questi esprimono. 

Rispetto ai bambini la ricerca futura potrebbe esplorare come le interazioni sociali dei bambini più piccoli vengano influenzate dall’uso della maschera, in particolare nei neonati che si trovano ad apprendere attivamente le emozioni degli altri.